Follia e Arte, il saggio dello psichiatra Adrián Sapetti che indaga il legame tra il genio e il pazzo
Filosofi, psichiatri e artisti hanno riflettuto a lungo sulla relazione tra genio, creatività e pazzia. Come la follia, infatti, anche l’atto creativo irrompe e modifica gli spazi di alcune certezze quotidiane mettendone in discussione l’equilibrio. Esiste il mito dell’artista maledetto, la credenza comune che soffrire di qualche forma di malattia mentale sia necessario per essere un genio. Nel saggio Locura y Arte (Follia e Arte), lo psichiatra argentino Adrian Sapetti affronta la relazione tra varie espressioni d’arte e follia.
Agli albori degli studi della patologia mentale, durante l’epoca egizia, si credeva che fossero gli Dei a determinare l’epilessia o le forme di malattia mentale. A questa credenza si è presto affiancata l’idea che l’origine fosse da ricondursi a una certa compressione cerebrale. Per questo motivo, dal fare offerte e rituali volti a placare le divinità, si passò a cercare di estrarre quella che poi sarebbe diventata nota come “pietra della follia”, rappresentata nelle opere pittoriche di Bosch e Brueghel.
Alla follia venne presto associato il demonio, ci sono voluti anni prima di arrivare alla moderna neuroscienza, ma nonostante questo, nessuno ha ancora compreso la relazione tra genio e follia. Non sappiamo cosa fa sì che una persona diventi un Mozart piuttosto che un Da Vinci. Dunque, l’opera di Sapetti affronta alcuni artisti psicotici che, come dice Shakespeare, “parlarono sensatamente e di altri che non erano psicotici e, comunque, crearono follemente”.
I pittori
Bosch seppe rappresentare la follia con un’arte senza pari. Nella sua opera La nave dei folli, mostra matti erranti in una barca senza vela né timone, nonostante siano alla deriva, cantano, bevono e ridono. È evidente una discordanza tra la realtà contingente e la parte emozionale che è sconnessa dalla situazione presente e da un’ipotesi di futuro. Inoltre, rappresenta una tipologia di barca che richiama quelle utilizzate per portare i malati mentali in ville e città e chiuderli in manicomio. Il pittore descrive un mondo oppresso dalla rovina e il castigo religioso, un mondo minacciato dai peccati dove l’umanità deve espiare la colpa perseguitata dalle visioni allucinatorie dell’inferno.
Proseguendo l’indagine tra arte e follia, dopo Fussil incontriamo Caravaggio. Il pittore perde i genitori da giovane, la sua vita è costellata di episodi di aggressività fuori controllo. Il Dottor Sapetti, insieme al collega Dr. Ángel García Coto, sostiene che Caravaggio, da piccolo, potrebbe aver presentato il disturbo ossessivo compulsivo. L’unico modo per placare il tormento interiore è il momento della pittura, la calma con cui rappresenta luci e ombre, un modo per mediare il mondo interno con quello esterno. Nell’opera “Davide con la testa di Golia”, Caravaggio ritrae se stesso nel volto decapitato del gigante, come a volersi togliere quella testa che lo tormenta.
L’arte in manicomio
E ancora troviamo Goya che ritrae scene del manicomio, Van Gogh che invece vive una follia che lo porta a dipingere con desolazione e solitudine. Il poeta e mistico William Blake che disegna le proprie visioni per illustrare le sue opere. Nel ricco panorama di artisti che hanno avuto più o meno a che fare con la follia, c’è il pittore Richard Dadd, dimenticato fino agli anni 70 e portato sotto le luci della ribalda grazie a una canzone dei Queen. Dadd in seguito a una forte insolazione in Egitto, che per Sapetti corrisponde più a tratti schizofrenici, torna in Inghilterra credendo di essere posseduto dal Dio egizio Osiris.
La prima missione che il Dio gli ordina è quella di uccidere il padre. Dopo averlo assassinato fugge in Francia dove viene arrestato e rimandato in Inghilterra, stavolta dentro il manicomio di Bethlem, dove passerà 42 anni. Qui dipinge la sua opera più famosa “Il colpo da maestro del taglialegna fatato” che ricorda il gesto con il quale ha decapitato il padre. L’opera oggi è esposta al Tate Gallery.
I “Maledetti”
Sapetti scrive un dialogo immaginario con il famoso pittore spagnolo che “fa il pazzo”, Salvador Dalì, per poi passare ai “maledetti” come Rimbaud, Baudelaire, alle manie necrofile di Allan Poe, le lucidissime lettere di Artaud al direttore del manicomio. Jacobo Fijman, poeta e pittore, passa 28 anni internato nell’Ospedale Borda, in Argentina. Probabilmente schizofrenico con deliri mistici, riceve psicofarmaci e subisce l’elettroshock. Sapetti riporta un estratto dell’intervista che il giornalista Vincente Zito Lema gli fece negli anni ’70 di cui traduco una piccola parte:
“Si sente un malato mentale?
No. Assolutamente. No. In primo luogo, perché ho l’intelletto… e le mie opere provano non solo che sono un uomo di ragione, ma un uomo di grazia. I medici non capiscono queste cose. Si comportano bene facilmente. Però non possono essere quello che non sono. Semplicemente misurano la temperatura della pelle. Danno pasticche, iniezioni, come se si trattasse di un magazzino. E dimenticano che in fondo è una questione morale. È che non conosco nessuno che possa capire la mente. Nonostante ciò, non li odio. Fanno quello che possono. La cosa terribile è che ci prendono perché uno non muoia per strada. E dopo moriamo tutti qui.”
Le “pazze d’amore”
Fijman si è convertito nell’icona dell’intellettualità antipsichiatrica, secondo l’autore è un esempio di creazione della follia, simbolo che era necessario abbandonare l’elettroshock e la terapia antipsicotica. Dopo i pittori e i maledetti, Sapetti dedica una parte del suo saggio alle “pazze d’amore” dove troviamo Sylvia Plath affetta da depressione e bipolarità e segnata dalla morte del padre. La russa Alejandra Pizarnik, Janis Joplin, Billie Holiday, che con la sua Strange Fruit ha disturbato così tanto che la polizia cercò di ammanettarla mentre era moribonda in ospedale; Édit Piaf, con gli amori tragici, gli abbandoni, la bisessualità, l’alcolismo. Troviamo la solitudine di Virginia Woolf, il dolore di Frida Kahlo, l’amore malato tra Camille Claudel e Auguste Rodin.
Nell’opera L’età matura Camille è in ginocchio con le mani tese verso Rodin, il quale le dà le spalle mentre una donna, un po’ angelo e un po’ strega, glielo porta via. Finita la relazione entra nella sua vita il musicista Claude Debussy, ma anche in questo caso l’amore sarà tormentato. Mentre le sue opere diventano famose, arrivano le prime crisi psicotiche. Camille può contare solo su suo padre, l’unico a non volerla internare. Non appena il genitore muore, la madre la fa rinchiudere per i successivi 30 anni senza che potesse ricevere visite.
I musicisti e gli scrittori
Passiamo dunque ai musicisti e agli scrittori. Schumann si procura una lesione alla mano legandosi le dita per cercare di migliorare i movimenti dell’anulare. Tchaikovsky intrattiene un lunghissimo rapporto epistolare con una donna che non incontrerà mai e alla quale si deve parte della sua fortuna come musicista. Lord Byron si circondava di animali selvatici, Guy de Maupassant ci ha lasciato racconti e romanzi “con una descrizione dei tratti psicologici degna del migliore degli psichiatri”, afferma Sapetti.
Shakespeare scrisse Amleto all’indomani della morte di suo padre e del figlio undicenne Hamnet. Secondo il discepolo e biografo di Freud, Ernest Jones, il romanzo esprime il sentimento di smarrimento e il dolore del lutto. Con le sue opere come Re Lear, Otello, Il racconto d’inverno, sembra volerci dire che per transitare in questo “teatro di matti, manicomio che è il mondo”, bisognerà essere psicotici o fingere di esserlo, commenta lo psichiatra.
Samuel Beckett riteneva di non essere stato partorito bene, con la terapia tornò ai ricordi intrauterini di cui riportò in un’intervista il ricordo: “di sentirmi intrappolato, di essere imprigionato senza potere scappare, di gridare perché mi lasciassero uscire, ma senza che nessuno sentisse, senza che nessuno ascoltasse.” Il famigerato marchese De Sade fu messo in manicomio per libertinaggio.
Il rapporto tra follia e arte
Sono tanti ancora gli artisti che costellano il ricco saggio di Adrián Sapetti, il quale afferma: “Ho imparato a comprendere meglio la vita e le opere di questi geni e, di conseguenza, la sintomatologia e gli atti dei miei pazienti e, perché no, di me stesso”. Non può esserci creazione artistica, secondo lo psichiatra, se non c’è l’incontro con le emozioni dolorose, la lotta contro il nulla, se non ci si trova di fronte all’inquietante domanda: “Che farò quando finirò questa opera? Quando sarò perseguitato dal vuoto, dall’incertezza, dall’angoscioso dubbio se avrò ancora l’arte di incantare”.