Ogni anno, il giorno del solstizio d’estate, la mia mente torna in quel bosco di quattro anni fa. Sembra arrivare l’odore del fuoco, di sentire in lontananza il rumore dei piccoli legni che si spezzano sotto i passi. Eravamo qualche centinaio e tutti insieme, avremmo celebrato l’estate aspettando l’alba insieme a Folco Terzani. Un’esperienza meravigliosa e indimenticabile.
A quel tempo, con l’Associazione culturale Pasolini, di cui ero Presidente, avevamo iniziato a collaborare con l’Università di Psicologia di Firenze. Il nostro referente era il Professor Claudio Sica, una persona gentile e con una grande passione per il proprio lavoro. Claudio ospitava durante le proprie lezioni gli incontri con autori che organizzavamo insieme. Durante uno di questi appuntamenti, io andai con Folco, ma questa è un’altra storia.
Conobbi Folco Terzani ancora prima, durante una delle presentazioni del suo libro Il Cane il Lupo e Dio, di cui puoi leggere la recensione qui. A Firenze è stata la prima volta in cui l’ho coinvolto con piacere in una delle mie iniziative e lui, benché non sia amante della frenesia cittadina, ha accettato. Poco tempo dopo, mi ha invitata al raduno annuale che organizzava per celebrare l’estate, nelle montagne toscane.
Una distesa di tende nel bosco
Amo la montagna, l’idea di aspettare che sorgesse il sole insieme a altre persone, mi ha entusiasmata subito. Dato il mio scarsissimo senso dell’orientamento, non fu facile arrivare nella radura del punto di ritrovo. Folco stava costruendo una grande tenda con al centro un braciere. Insieme alle due amiche che erano venute con me, Luoise e Melissa, abbiamo iniziato a sistemare la paglia in modo da creare una sorta di pavimento per la nostra tenda. Intorno a noi le persone continuavano a arrivare, qualcuno ci offriva un biscotto qualcun altro un bicchiere di vino.
Il bosco era come una grande mamma che ci accoglieva tutti nel proprio grembo. Il sole piano piano scivolava tra gli alberi lasciando riverberare la luce dei fuocherelli che avevamo iniziato a creare. I falò diventavano sempre più grandi, Folco si muoveva con dimestichezza, si vedeva che era tutt’uno con la natura.
Ci ha fatto entrare nella sua tenda. In alto era aperta per lasciare andare via il fumo del fuoco che aveva predisposto al centro. Si vedeva il cielo, non avrei mai staccato gli occhi da lì. Certo, non essendo abituata avevo ancora un po’ la preoccupazione che qualche tizzone mi arrivasse addosso e dovevo fare l’abitudine al fumo che mi faceva lacrimare un po’ gli occhi. A parte questi limiti dovuti all’essere cresciuta in città, in quella tenda sembrava di stare dentro e allo stesso tempo fuori. Sembrava di essere all’interno del riparo di qualche sciamano, bello slanciato e così accogliente.
In mezzo agli alberi mi sento a casa
Ci siamo disposti tutti in cerchio intorno al fuoco, al tramonto Folco ha soffiato dentro una conchiglia, il suono lungo e intenso ha decretato l’accensione del falò principale. Prima che facesse completamente buio, mi sono goduta il dondolio dell’amaca perdendo lo sguardo tra le cime degli alberi. Osservavo le persone che provavano a stare in equilibrio sulla slackline, altri si abbandonavano alla meditazione. Alcune ragazze avevano portato le marmellate, all’imbrunire si iniziava a cucinare con grandi pentoloni.
Mi piace frequentare il bosco di notte. L’ho sempre fatto principalmente tra agosto e settembre per andare a ascoltare i bramiti. Mi dà un senso di quiete e di rifugio, misto all’ansia del non vedere. Piano piano è bello abbandonarsi ai rumori, arrendersi al non poter controllare tutto e lasciare andare. Lasciarsi immergere profondamente nella natura, in noi stessi.
L’attesa dell’alba di una nuova estate
Le chitarre hanno iniziato a suonare, il picchiettare dei tamburi faceva muovere i primi passi intorno al fuoco ormai alto. La notte era ufficialmente iniziata. Ballavamo, ci rilassavamo a guardare le stelle. Ognuno prendeva il proprio tempo per lasciarsi andare alla contemplazione, per scambiare due parole con un volto in penombra. Ricordo che avevo male a una spalla. Una signora mi disse che forse stavo cercando di afferrare qualcosa che fuggiva via e mi ha praticato reiki davanti allo scricchiolino di uno dei fuocherelli.
Abbiamo aspettato il sorgere del sole tutti insieme, seduti in silenzio a prendere i primi raggi della nuova estate. Folco è passato tra noi con un secchio d’acqua profumata con dei fiori con la quale ci siamo lavati il viso. Che bellezza riunirsi per celebrare l’inizio di una stagione.
Sono sempre affascinata dal condividere esperienze con persone che non conosco, in contesti che sono nuovi. Mi interessa esplorare le molteplici versioni del mondo che tutti noi inventiamo ogni giorno. È con gioia che ricordo questa notte nel bosco e con profonda gratitudine che penso a Folco, scalzo tra le sue montagne, figlio consapevole di questa natura meravigliosa che ci circonda e ci abbraccia.